domenica 12 dicembre 2010

ECG e pericolose sorprese.....

Chi legge queste pagine abitualmente ha già chiare alcune nozioni di base riguardo al cuore, mentre chi ha letto il mio libro ne saprà certamente di più, essendo in grado di capire quando non preoccuparsi e quando contattare il proprio cardiologo.
Oggi tratterò un argomento di frequente riscontro in ambulatorio, ossia la valutazione di alterazioni dell'elettrocardiogramma (ECG) di soggetti asintomatici (cioè che non hanno sintomi) eseguito in  casualmente, per altri motivi, ad esempio palestra o in occasione di piccoli interventi.
In parole povere, uno fa un ECG per caso, credendo di essere sano di cuore, e invece si scoprono brutte sorprese che non avrebbero dovuto esserci.
Le sorprese potrebbero essere di due tipi: di tipo aritmico (cioè extrasistoli, già in parte trattate nell'apposito articolo) e di tipo morfologico (cioè alterazioni nella forma dei complessi QRS, indicative di patologie più o meno varie). In un caso o nell'altro, lo scopo è prevenire la morte improvvisa cardiaca, che tanto scalpore provoca, specie se si tratta di giovani atleti.

La Sindrome di Brugada
Il paziente mi arriva in ambulatorio, visibilmente preoccupato, con in mano l'ECG (pre operatorio o magari eseguito in palestra), il cui referto recita "alterazioni compatibili con aspetto da sindrome di Brugada". Il paziente si preoccupa e vuole sapere, giustamente, se è grave o no. Vediamo pertanto di fare un po' di chiarezza.
Il cuore affetto da sindrome di Brugada è morfologicamente normale: all'ecocardiografia (avviso ai lettori: mi raccomando di non confondere e di non fare errori madornali, come coloro che non capiscono nemmeno perchè vanno dal medico: non confondete ELETTROCARDIOGRAMMA con ECOCARDIOGRAMMA) si vedrà contrattilità normale, valvole normali, dimensioni normali delle 4 camere cardiache. Il difetto è di tipo elettrico, ma bisogna scendere molto nel dettaglio per capirci qualcosa. E' un difetto dei canali ionici (quindi attenzione: si parla della struttura più intima e molecolare delle cellule cardiache) che regolano l'entrata e l'uscita di ioni dentro le cellule.
Vi ricordate le scoperte di secoli addietro in merito all'elettricità e soluzioni saline, scienziati come Volta, Galvani.... si? Ebbene, anche a livello cardiaco le particelle elettricamente cariche sono fondamentali per una normale contrazione muscolare. Gli ioni di cui stiamo parlando sono il sodio (Na), il potassio (K) e il calcio (Ca), che ad ogni battito entrano ed escono dalla cellula cardiaca in frazioni infinitesime di secondo, per regolarne la contrazione. L'entrata e l'uscita di tali ioni avviene grazie a canali, cioè particolari proteine della membrana cellulare che, aprendosi e chiudendosi istantaneamente, in frazioni di secondo e ad ogni battito, consentono che tali correnti ioniche possano verificarsi. 
Questi canali che sono proteine di membrana, come si formano? Ovviamente, come tutte le proteine, sono direttamente derivate dal DNA, cioè dalla nostra intima struttura, quindi è come quando un pezzo esce dalla fabbrica integro o difettoso.
Pertanto, se vi è un difetto genetico del DNA, tali proteine saranno alterate, le correnti ioniche anomale, l'innesco di aritmie potenzialmente fatali concreto, ed ecco spiegati alcuni casi di morte improvvisa.
La sindrome di Brugada è un tipico esempio. Fu descritta per la prima volta nel 1992 ed è caratterizzata da una particolare alterazione dell'ECG associata ad aumentato rischio di morte improvvisa da fibrillazione ventricolare (per sapere cos'è la fibrillazione ventricolare vi rimando al mio libro). E' certo rara ma non rarissima, e i problemi arrivano quando il paziente non ha mai avuto nulla, sta benissimo, fa un ECG per caso e si scopre che sono ben presenti queste famose alterazioni compatibili con sindrome di Brugada. 
Il canale ionico malato per causa genetica è chiamato SCN5A, e consente il regolare ingresso del Na all'interno della cellula, che pertanto non sarà più regolare, esponendo il malcapitato a rischio di eventi aritmici gravissimi. Nel caso venisse scoperto un ECG con tale aspetto, importante è anche analizzare i familiari, il loro ECG ed eventuali storie di sincopi o morti improvvise

.... segue.....

domenica 14 novembre 2010

Sindrome Metabolica. Che sarà mai?

Non c'è che dire, sono due parole che pesano. Le si legge, oppure ci vengono dette. Sindrome metabolica, lei ha la sindrome metabolica. E che sarà mai? Una nuova malattia? Nuovi germi? Nuovi farmaci da prendere?
In realtà niente di veramente nuovo; è solo un modo più incisivo di etichettare diverse cose, già esistenti, in modo da racchiuderle in una nuova "entità", alla quale è più chiaramente correlato il rischio di andare incontro a guai.
Guai di che tipo?
Si tratta naturalmente di patologie cardiovascolari acute: quindi infarto miocardico o la sua variante meno grave, l'angina; oppure di patologie cerebro-vascolari, quali l'ictus.
Quindi, se uno è affetto dalla sindrome metabolica, è più probabile che prima o poi, vada incontro a questo tipo di malattie acute, che possono incidere pesantemente sulla propria vita quotidiana.

Quando si ha la sindrome metabolica?
Quando sono presenti nella stessa persona diverse semplici cose:
  1. la cosidetta "panza", cioè la misura della circonferenza addominale che superi almeno i 102 cm negli uomini (e 88 nelle donne)
  2. la pressione alta (diciamo al di sopra di 140/90 mmHg a riposo)
  3. gli esami del sangue che documentano trigliceridi superiori a 150 e/o colesterolo HDL inferiore a 40 mg/dl
  4. glicemia a digiuno alterata, in pratica una sorta di pre-diabete (valori superiori a 110 mg/dl)
Queste condizioni già di per sè possono comportare un lieve aumento del rischio di andare incontro a guai di cuore, se considerate singolarmente. Quando però sono tutte presenti contemporaneamente tale rischio si alza. Di quanto? Beh, è evidente che questa valutazione spetta al proprio medico. Se ognuna di tali condizioni fosse solo ai limiti superiori, cioè per esempio un po' di pancetta, associata a una pressione di 140/80, magari con una glicemia a 110 e una trigliceridemia a 158.... beh, mi preoccuperei, ma non eccessivamente.
Al contrario, se tutti questi valori fossero marcatamente alterati, allora il discorso si farebbe molto più impegnativo.
Per dirla in termini semplici, i motivi di pericolosità di tale condizione vanno ricercati nelle modifiche che essa induce sull'equilibrio del sangue: la trombosi viene molto facilitata (ce lo indicano molte cose tecniche che qui non spiegherò: il livello di PCR, l'iperfibrinogenemia, l'aumentata aggregabilità piastrinica, l'aumentato livello di plasminogen activator inhibitor PAI-1, ed altro, tra cui l'iperuricemia). Ed è evidente che, visto il trombo all'interno di una coronaria come base di un infarto miocardico, questo possa più facilmente verificarsi.

Comunque vadano le cose, è bene che tale condizione venga messa nella giusta evidenza, senza enfatizzarla o sottovalutarla.
Il livello di gravità della vostra situazione deve essere valutato dal vostro medico, non v'è dubbio. Però c'è qualcosa che si può fare da subito, un tentativo: è quello che si chiama cambiamento dello stile di vita, che in questo caso significa mangiare meno (provare a dimezzare le porzioni) e fare molta più attività fisica (se andate in palestra meglio, ma per iniziare può bastare mezz'ora a giorni alterni di camminata veloce al parco).
In tal modo, migliorando il metabolismo degli zuccheri grazie all'attività muscolare, chi è affetto dalle forme più lievi potrebbe non aver bisogno dell'assunzione di farmaci.

mercoledì 13 ottobre 2010

Novità in tema di Fibrillazione Atriale

Si è recentemente concluso l'annuale Convegno Nazionale di Cardiologia organizzato dall'Osp. Niguarda, a Milano.
Come ogni anno sono stati trattati numerosi temi "caldi" in ambito cardiologico, sia in tema interventistico che farmacologico. Vi descriverò brevemente le più significative novità dagli studi clinici, in merito a farmaci o procedure terapeutiche che vedremo applicati a breve.

Iniziamo dalla fibrillazione atriale, partendo dalla prevenzione del rischio tromboembolico. Come saprete, il rischio principale legato alla fibrillazione atriale è quello di andare incontro ad un ictus cerebrale, con le conseguenti sequele, spesso devastanti per l'impatto sulla vita di tutti i giorni. Fino ad ora la prevenzione di tali eventi si poteva fare con gli antiaggreganti (cioè farmaci come aspirina e derivati), oppure anticoagulanti (farmaci quali Sintrom o Coumadin), per i quali veniva raccomandato sempre un continuo periodico controllo dell'attività anticoagulante, mediante prelievi del sangue.
Sono stati eseguiti diversi studi in merito, nel tentativo di trovare un farmaco che potesse garantire una sicura efficacia contro gli eventi cerebrali tromboembolici, senza la pericolosità degli anticoagulanti (rischio emorragico se il dosaggio è troppo elevato) e la seccatura di dover fare i prelievi frequentemente. 
Esiste oggi qualcosa che è migliore degli anticoagulanti? Più sicura, più comoda e che non preveda il fastidio di doversi sottoporre al prelievo per il dosaggio dell'attività di protrombina?
Pare di si. Un farmaco alternativo, di efficacia quantomeno sovrapponibile, è stato trovato e analizzato nello studio RE-LY. 
Tale farmaco si chiama dabigatran e agisce in maniera diversa dagli anticoagulanti classici. Non aumenta il rischio di emorragie, è altrettanto efficace e non richiede prelievi continui. In quanto a sicurezza non ha aumentato il rischio di sanguinamenti maggiori, che anzi sono risultati lievemente più elevati nel gruppo trattato con gli anticoagulanti tradizionali.


Sempre in tema di promesse, c'è dell'altro. Chi è affetto da fibrillazione atriale sa quanto l'amiodarone, pur avendo il vantaggio di prevenire le recidive aritmiche, sia gravato da pesanti effetti indesiderati, specie a lungo termine.   E' appena uscito dalla fase sperimentale un nuovo farmaco, chiamato dronedarone e parente dell'amiodarone, che si è rivelato efficace per prevenire le recidive di fibrillazione atriale in pazienti che avevano la forma parossistica o persistente, riducendo nel contempo la mortalità e i frequenti ricorsi all'ospedale. Tale farmaco non è caratterizzato dagli effetti indesiderati tipici del "cugino" amiodarone, ne è prevista la commercializzazione a breve

L'ultima novità riguarda le cardioversioni farmacologiche delle fibrillazioni atriali parossistiche, che ad oggi venivano eseguite somministrando alcuni farmaci quali propafenone o flecainide e, se controindicati, l'amiodarone. Sta per essere commercializzato un nuovo farmaco, il vernakalant, che promette maggiore efficacia dell'amiodarone in acuto, cioè proprio quando serve una particolare efficacia del farmaco subito, per riportare a ritmo sinusale quelle fibrillazioni insorte da poche ore, nelle quali non ha avuto ancora modo di formarsi il trombo in atrio sinistro


Aggiornamento del 18/2/2010
Ogni medaglia spesso ha un rovescio. Vi è notizia che l'uso del dronedarone (a dire il vero molto sparuto in Italia, essendo il farmaco appena uscito) può in certi casi danneggiare seriamente il fegato, talora con necessità addirittura di un trapianto, per l'irreversibilità delle lesioni. Pertanto, nella remotissima ipotesi vi fosse stato prescritto dai vostri medici, parlatene.

martedì 28 settembre 2010

Riconoscimenti del mio libro


Cari lettori,

devo dire che le critiche al mio libro, in libreria da appena una settimana, stanno andando ben oltre le mie più rosee aspettative! Infatti non avrei mai immaginato nientepopodimeno che un articolo a mezza pagina sul Venerdi di Repubblica e un altro sull'inserto Sanità del Sole 24 ore.
Che dire? Per il momento non posso che ringraziare i giornalisti che lo hanno avuto in anteprima e che hanno scritto i relativi articoli.
Voglio ben sperare che l'acquirente/lettore trovi il testo altrettanto interessate e che rimanga contento dell'acquisto... e poi volete mettere... un libro con un chiaro rimando a questo blog, dal quale si può contattare direttamente l'autore (cioè io....) non è cosa da poco!
Buona lettura

sabato 28 agosto 2010

Viaggi aerei e cuore: partite informati e contenti !!!

Una delle regole auree che il mio lavoro mi ha insegnato è questa: quando si ha a che fare col pubblico, dare delle indicazioni utili e applicabili a tutti è difficile. Non solo: tanto più il pubblico è vasto (quindi non selezionato), tanto più tale compito si rivela irto di ostacoli.
Prendete l'esempio di uno spot pubblicitario: ogniqualvolta si dà per scontato che il pubblico abbia già delle informazioni di base, e pertanto non si spiega in dettaglio a cosa serva quel prodotto, si rischiano guai, più o meno grossi a seconda della vastità dell'audience. Ricordate il clamore suscitato (poco tempo fa) dalla pubblicità della lavanda vaginale Tantum Rosa? Forse per analogia col Tantum Verde, che è un colluttorio, parte del pubblico deve aver pensato che bastava ingurgitarla, e per magia il prodotto avrebbe agito a livello intimo. Risultato: diversi accessi in vari pronto soccorso, da Nord a Sud.

Dopo questa introduzione, veniamo all'argomento. Prendo spunto da un articolo apparso sul Corriere della Sera, nella sezione "Salute", che nel caso vi fosse sfuggito, potete leggere qui.
Questo articolo, a sua volta, si basa su una pubblicazione recentissima, uscita su Heart, prestigiosa rivista scientifica inglese, organo della British Cardiovascular Society: delle linee guida per chi ha una cardiopatia e deve affrontare un viaggio aereo.
Inizierei con una considerazione: mai fidarsi appieno della stampa generalista, specie quando i toni sono ottimistici, come nell'articolo in questione. Parlare di volo aereo in termini generici, è fuorviante. E' sottinteso che si parli di normali voli di linea, ma un conto è fare Milano-Roma, altra cosa è fare che so, Londra-Tokyo.
Quegli intervalli di tempo, citati nell'articolo, a mio parere non sono per nulla applicabili alla totalità dei pazienti cardiopatici; dovrebbe essere sempre e comunque il vostro cardiologo a darvi un parere definitivo sui potenziali rischi di un viaggio aereo, che nel vostro personale caso potrebbero differire da quelli di un altro paziente, pur con la vostra stessa malattia.
Molte volte mi è capitato di dover dare pareri e consigli in merito. A seconda della destinazione che mi viene riferita, spesso non ho potuto trattenermi dal dire: "spero che per dover fare questo tipo di viaggio lei abbia un motivo più che valido, come il matrimonio impellente di un figlio o una costosa vacanza già pagata che non prevede rimborso..."
Ciò perchè le potenziali complicazioni o problemi di una cardiopatia (qualsiasi essa sia) sono talmente tali e tante che, se dovessero verificarsi in terra straniera, sarebbero di gestione molto più difficile che in Patria. Ma questo il paziente non lo sa, poichè il suo medico tende sempre a rassicurarlo, quando non ha motivi concreti per spaventarlo. Però le leggi di Murphy esistono, e se ne deve tenere conto.
Prendiamo l'esempio dell'infarto. Mai e poi mai consiglierei ad un mio paziente infartuato di salire su un aereo (specie per un viaggio trans-continentale) dopo solo 3 giorni dalla dimissione. E' troppo presto. Da un lato è vero che è già stato dimesso, quindi l'equipe medica non ha riscontrato pericoli; dall'altro è pur vero che qualsiasi complicanza improvvisa (e ve ne sono, eccome se ve ne sono, chiedete a chi è del mestiere, non ai giornalisti) può presentare disagi aggiuntivi se non si è a casa!
Molti di voi sapranno che l'aria che si respira dentro un aereo non è quella in quota, grazie alla pressurizzazione dell'aereo stesso, diversamente i passeggeri morirebbero tutti. Pertanto tutti pensereste che la pressione atmosferica dentro un aereo sia quella dell'aeroporto di partenza, quando i portelloni erano ancora aperti.
Invece no! Quando l'aereo è in volo (quote di crociera tra 7-8000 metri e 10-15000 metri, fino a quote molto più alte, come nel compianto Concorde) è come se voi respiraste in alta quota, precisamente intorno ai 2500 metri.
L'effetto "alta quota" da un lato, la riduzione della pressione di ossigeno e l'immobilità possono favorire la trombosi venosa profonda (anche asintomatica, è stato dimostrato), e l'eparina a basso peso molecolare non è la panacea, come appare in quell'articolo.


Consentitemi infine alcune considerazioni personali. Spesso si pensa ai potenziali rischi (scarsi, in verità) di un viaggio aereo su un cuore malato, e si trascura l'assistenza sanitaria con la quale ci si potrebbe confrontare in un paese straniero. All'estero le cose possono essere molto diverse che in Italia, sia come qualità che come organizzazione dell'assistenza. Avete un'assicurazione sanitaria che copra ogni possibile spesa sanitaria per qualsiasi problema dovesse capitarvi all'estero?
E ancora. Nel caso di cure o pareri cardiologici all'estero, avete pensato a fornire le giuste informazioni ai medici che vi dovessero valutare? Scordatevi fogli e annotazioni scritte di vostro pugno, sono quasi sempre inutili. Se il vostro cardiologo è un buon cardiologo, sarà lui a scrivere in inglese una relazione dei vostri principali eventi cardiologici anamnestici (lui sa cosa è utile per i colleghi, voi no, rischiereste di riportare notizie inutili), non dimenticando di inserire una cosa che voi, nell'80% circa dei casi (vi assicuro che questa è la percentuale nel caso dei miei pazienti ambulatoriali), vi dimentichereste regolarmente o riportereste in maniera imprecisa o incompleta: la terapia.
Pochissimi pazienti si rendono conto di quanto sia importante, per qualsiasi medico, conoscere in maniera accurata la terapia di un paziente.
Direte: ma se vado all'estero mi porto la scorta. Giusto portarsela, ma la terapia va sempre scritta nella relazione, perchè i nomi farmacologici non cambiano, quelli commerciali si.
Per concludere: niente di nuovo. Linee guida e raccomandazioni in merito a cuori malati e viaggi aerei esistono già da anni; in particolare meritevole un lavoro del 2004 già apparso sulla prestigiosissima rivista americana Annals of Internal Medicine, alla quale vi rimando (chi conosce l'inglese può leggere il lavoro originale, chi non lo conosce e avesse dubbi, può scrivermi)

giovedì 5 agosto 2010

Alcool e Cuore, un pericoloso connubio

E' tempo di vacanze. Si parte per le località turistiche, si sta in compagnia, e con la convivialità di certi momenti si è indotti a bere più alcool del solito. Cosa succede al cuore? Quanto si può bere senza correre rischi?
Cerchiamo di fare chiarezza, cosa non semplice visto il posto che le bevande alcoliche occupano nella vita di tutti i giorni, fin dagli albori della storia.
Partiamo dalla definizione. Per un chimico, alcool vuol dire una certa cosa ben precisa; per noi è sufficiente sapere che quando si parla di alcool e dei suoi effetti ci si riferisce all'alcool etilico o etanolo. Chimicamente esistono molti alcool, ma quello etilico è l'unico commestibile.
E' una sostanza esistente in natura, quindi non artificiale, che si ottiene dalla fermentazione degli zuccheri (ogni zucchero naturale può dare alcool: dalla patata o dai cereali la vodka, dal riso il sake, dal ginepro il gin, dalle prugne la slivovitz, ovviamente dall'uva il vino, etc).

Il paradosso francese
Ormai diversi decenni addietro, analizzando le statistiche, ci si rese conto che, fra i paesi industrializzati, in Francia vi era un'incidenza di eventi cardiovascolari acuti (quindi infarto e angina) sensibilmente più bassa degli altri paesi. Le attenzioni si concentrarono sulle abitudini alimentari, fino ad individuare nel vino rosso locale (di cui i francesi vanno giustamente orgogliosi) il potenziale fattore protettivo.
Tale paradosso francese ha fondato il concetto di "effetto protettivo di basse dosi di alcool", sebbene non vi sia mai stata unanimità di vedute, in quanto parte dell'effetto sia dovuto a sostanze contenute nel vino rosso, e non in altre bevande alcoliche.

Effetti tossici dell'alcool
L'alcool, se assunto in quantità e per lunghi periodi, fa male. Gli effetti tossici di un'assunzione cronica di alcool, sull'apparato cardiovascolare, sono molteplici, tra i più importanti:

  • ipertensione arteriosa

  • dislipidemia (cioè alterazioni dei grassi nel sangue)

  • danno diretto sui tessuti cardiaci fino alla tipica cardiomiopatia alcoolica
E' bene sapere che assunzioni, anche moderate, di alcool possono ridurre in maniera significativa la capacità di contrazione del cuore, sulla base di un effetto tossico ai danni dei meccanismi che ne regolano la contrattilità. Non solo, è dimostrato che vi sarebbero effetti anche sui tessuti strutturali cardiaci (interstizio stromale), causando fibrosi miocardica.
Tuttavia i danni maggiori si hanno quando l'assunzione è cronica; in particolare, la tipica cardiomiopatia alcolica si verifica quando il consumo giornaliero supera gli 80 mg al dì per 5 anni, con una suscettibilità maggiore per le donne e per chi presenta certe mutazioni genetiche di geni per alcuni enzimi del metabolismo.
Sulla pressione arteriosa ha un comportamento duplice: l'assunzione acuta riduce la pressione, per effetto vasodilatatore (mediato da azioni sul centro vasodilatatorio nonchè dall'effetto dell'acetaldeide); in cronico invece fa aumentare la pressione, probabilmente attraverso l'incremento di catecolamine plasmatiche e del sistema renina-angiotensina.
L'assunzione cronica di alcool causa inoltre aumento del colesterolo cattivo, quello LDL.
Esistono inoltre rischi di innesco di aritmie, pertanto chi soffre di fibrillazione atriale parossistica dovrebbe fare particolare attenzione, fino all'assoluta astensione; è infatti noto che tra gli alcolisti la fibrillazione atriale sia un'aritmia molto diffusa.
Questa breve trattazione è centrata sugli effetti cardiovascolari dell'alcool, non sono stati pertanto trattati gli altri innumerevoli effetti, come per esempio gli effetti sull'attenzione e la guida di autoveicoli: consultate pure il nuovo codice della strada per ulteriori dettagli.


Appendice 
Come si fa ad avere un'idea della quantità di alcool presente in una bevanda? Semplice. Supponiamo di avere un litro di vino a 12° di gradazione: il contenuto di alcool, in grammi, di quella bottiglia sarà: 12 x 0.79 x 1000 cc = 9480 cioè 94.8 grammi di alcool (a patto di berla tutta, ovviamente). Altro esempio: una lattina (di solito contiene 330 cc) di birra di 5° conterrà: 5 x 0.79 x 330 = 1303 quindi 13 grammi di alcool, nel caso la bevessimo tutta.

mercoledì 14 luglio 2010

L'idoneità sportiva agonistica

Certificare l'idoneità sportiva all'agonismo non è un compito facile, visto il carico di responsabilità che grava sul medico e i rischi potenziali di uno sport portato agli estremi.
I criteri sono ovviamente molto più restrittivi rispetto alla semplice idoneità fisica non agonistica, specie se vi sono stati dei sintomi che hanno portato ad una revisione dell'idoneità precedentemente concessa.
E' una valutazione che viene eseguita di norma in centri di medicina dello sport altamente specializzati, i quali non solo possono concedere tale certificazione, ma anche curare la preparazione di particolari atleti d'elite.
Una valutazione seria ed accurata inizia dalla stima dell'impegno cardiovascolare del tipo di sport in questione; seguiranno quindi esami cardiovascolari specifici e mirati all'identificazione del problema che ha causato il fermo dall'attività sportiva, sempre con la consulenza collegiale di cardiologi e specialisti di medicina dello sport.
Ho preferito non affrontare direttamente la trattazione dell'argomento in modo dettagliato, in quanto eccessivamente lunga. Comunque, volendo approfondire e leggere le linee guida originali, basta seguire il link qui sotto.
Nel caso voleste leggerlo e qualcosa non vi fosse chiara, scrivetemi pure.
Buona lettura 


mercoledì 2 giugno 2010

L'importanza dell'Aspirina

L'Aspirina, nome commerciale ormai divenuto sinonimo di preparato a base di acido acetilsalicilico, è un farmaco sul mercato da più di 100 anni, in grado di togliere la febbre, togliere il dolore e ridurre l'infiammazione.
Quel che a noi interessa, però, è che ha indicazione anche in cardiologia.
E' infatti noto da anni che l'aspirina, talora abbreviata in ASA (altra sigla in inglese può essere NSAIDs, cioè farmaci antinfiammatori non steroidei, di cui l'aspirina è il capostipite) ha un effetto antiaggregante piastrinico, già a basse dosi.
Le piastrine fanno parte della componente corpuscolata del sangue; non sono vere e proprie cellule, bensì "pezzetti" di cellule, col compito di aggregarsi insieme per formare un trombo, cioè una componente di quel coagulo che si può formare in tempi molto rapidi in caso di emorragia.
Però, poichè a volte i trombi possono formarsi anche all'interno dei vasi, pur in assenza di qualsiasi ferita, provocando pertanto trombosi e altri eventi acuti, un farmaco in grado di ridurre efficacemente l'aggregabilità piastrinica può rivelarsi molto utile.
Per fare ciò le piastrine agiscono su un enzima piastrinico, la ciclossigenasi, bloccando la sintesi di prostacicline e allungando il tempo di emorragia (quindi il sangue coagulerà più lentamente).
In virtù di una quantità ormai notevole di studi, l'aspirina (o farmaci simili) a basse dosi rimane tra i farmaci più efficaci nella cura dell'infarto acuto (somministrabile già fin dai primi minuti), nonchè della cardiopatia ischemica cronica in generale.
L'effetto sulle piastrine inoltre dura quasi una settimana, pertanto in caso di dimenticanza nell'assumere la compressa, l'azione antiaggregante permane senza alterazioni.
Come tutti i farmaci della stessa famiglia, può avere diversi effetti indesiderati, tuttavia rari alle basse dosi alle quali di solito viene assunta a scopo antiaggregante. Vanno comunque citati:
  • disturbi gastrointestinali quali epigastralgia (dolore di stomaco) con alterazioni della mucosa gastrica di grado variabile, fino a ulcere
  • alterazioni della funzionalità epatica (quindi ne può soffrire il fegato), con incremento delle transaminasi di grado variabile; nei casi più gravi il danno epatico può causare ittero
  • alterazioni della funzionalità renale (fino a provocare insufficienza renale acuta da danno tubulare
Val la pena di ricordare che l'aspirina non va in alcun modo somministrata ai bambini.
In realtà, pur tenendo sempre presenti tali potenzialità lesive, si tratta di un farmaco sicuro, ampiamente prescritto e assunto nel mondo, i cui effetti indesiderati si manifestano in genere alle dosi più elevate (tranne l'allergia, che può manifestarsi in maniera non prevedibile già alla prima somministrazione). In ogni caso, dovessero verificarsi epigastralgie anche a basse dosi, si può ovviare assumendo il farmaco sempre appena dopo il pasto principale, associandovi magari un farmaco gastroprotettore.

martedì 20 aprile 2010

La Cardiopatia Tako-Tsubo

E' una forma di cardiopatia molto particolare, ancora oscura per alcuni versi, basti pensare che colpisce solo le donne afflitte da preoccupazioni, in genere con più di 60 anni.
Come possano le preoccupazioni e gli stress emotivi causare tale malattia non è chiaro; è però evidente che il cuore femminile reagisce talvolta in maniera differente, rispetto a uno maschile, ad un fatto emozionale improvviso e forte, talmente differente da simulare un infarto.
In effetti tale cardiopatia acuta, nella sua presentazione clinica iniziale ricorda proprio un infarto miocardico.
Vi sono le tipiche alterazioni elettrocardiografiche dell'infarto acuto, col dolore toracico, per cui si finisce quasi sempre in pronto soccorso. E qui, qualsiasi cardiologo, nel vedere tali alterazioni elettrocardiografiche, procederebbe al trattamento specifico di un infarto, che nei grossi centri ospedalieri è la coronarografia con angioplastica coronarica primaria, cioè d'urgenza nel corso dell'evento acuto, al fine di identificare la presenza del trombo (o coagulo) coronarico che in quel momento sta provocando l'infarto acuto.
Ed ecco arrivare la prima sorpresa: alla coronarografia le coronarie sono pulite, o comunque non vi è evidenza di trombi che abbiano ostruito grossi rami coronarici.
Singolare: ci si aspettava un trombo, che è tipico dell'infarto, invece non c'è. Che allora non sia un infarto? In effetti può essere.
Si diceva all'inizio che alcuni aspetti di tale quadro clinico restano oscuri. E' una sorta di stordimento temporaneo del cuore che simula un infarto, ma nei fatti non lo è, non solo perchè non c'è il trombo, ma anche perchè non c'è il tipico movimento enzimatico, cioè quella comparsa nel sangue di sostanze contenute dentro le cellule cardiache che, per l'appunto, compaiono nel sangue solo quando c'è l'infarto e quindi la distruzione di tali cellule.
In certi casi è pur vero che un limitato movimento enzimatico sia stato descritto, ma in ogni caso non è quello tipico di un infarto.
Questo "stordimento" del cuore si manifesta con una decisa riduzione della forza di contrazione del ventricolo sinistro, talmente decisa da aver dato il nome alla malattia. Tako-tsubo è infatti il nome di una specie di contenitore usato dai pescatori giapponesi, la cui forma ricorda la dilatazione del ventricolo sinistro che si osserva in tale malattia.
La prognosi è abbastanza buona, in quanto in genere si guarisce senza particolari reliquati e le possibilità di recidiva non sono state descritte. E' pur vero però che mentre si è ancora nella fase acuta è possibile che si verifichino molte temibili complicanze di un infarto, da aritmie ventricolari gravi e minacciose per la vita (fino talvolta alla fibrillazione ventricolare), fino a quadri importanti di scompenso cardiaco, fino allo shock cardiogeno.
Una cosa appare certa: quasi tutte le persone colpite avevano attraversato, nel periodo immediatamente precedente l'evento, una fase della loro vita poco felice, con preoccupazioni e sofferenze dell'animo.
Resta da chiedersi perchè è quasi sempre il cuore femminile, anzichè quello maschile, a reagire in maniera così singolare e (almeno nelle fasi iniziali) così preoccupante alle difficoltà della vita



mercoledì 10 marzo 2010

CARDIO TAC, ALTA DEFINIZIONE PER LE CORONARIE

L'esame più accurato ed affidabile per lo studio delle coronarie rimane a tutt'oggi la coronarografia.
Questo esame è però invasivo; infatti si deve introdurre un sottile catetere dall'arteria femorale, che decorre all'inguine, iniettare un mezzo di contrasto, mettere il paziente sotto una macchina che emana radiazioni e permette di vedere le coronarie rese opache ai raggi X.
Inoltre, come tutti gli esami invasivi, prevede sempre un margine di rischio che, per quanto ridotto, non può mai essere pari a zero.
Fino a qualche anno fa non c'erano molte alternative. C'era e c'è la scintigrafia miocardica, è vero, che però rimane un esame più funzionale che anatomico.
Oggi non è più così.
Esiste la TAC applicata al cuore, chiamata cardioTAC.
Qualcuno di voi potrà obiettare che tale esame esiste già da anni, ed è vero. Però, grazie all'esperienza progressivamente accumulata da diversi centri nel mondo, è divenuta una metodica molto valida per lo studio delle coronarie, in grado di escludere lesioni coronariche, senza necessità di ricorrere alla coronarografia.
Tuttavia, un grosso limite della cardioTAC, fino a pochi mesi addietro, era rappresentato dalla necessità di una accurata selezione del paziente da avviare alla cardioTAC, in quanto le macchine non erano in grado di esaminare pazienti con frequenze cardiache elevate o con ampie quantità di calcio depositato sulle coronarie.
Oggi non è più cosi. Sono arrivate le cardioTAC di ultimissima generazione, in grado di valutare con estrema accuratezza anche chi prima non avrebbe potuto essere studiato, e che pertanto avrebbe dovuto essere inviato all'emodinamista per una coronarografia.
Questa "superTAC", di cui al momento ne esiste in Italia solo un esemplare (e vene sono appena 24 nel mondo) consente di evitare tutte le coronarografie diagnostiche, cioè quelle eseguite per capire la natura di dolori toracici. In tutti questi casi si può infatti procedere alla cardioTAC Flash, riservando una coronarografia solo quando sia stata effettivamente riscontrata una lesione coronarica, da trattare mediante procedura di angioplastica.
Non vi sono punture femorali (e rischi che ciò comporta), nessun catetere che arriva fino al cuore, nessuna necessità di essere ricoverati per una procedura solamente diagnostica.
Ci si sdraia su un lettino, si trattiene il respiro, il mezzo di contrasto viene iniettato da una piccola vena del braccio, e nel giro di pochi secondi la macchina ha già acquisito tutte le migliaia di immagini che poi, ricostruite sia dai sofisticati software della macchina che dall'esperienza del radiologo che referta l'esame, serviranno per dare il responso: coronarie normali o malate, quindi rispettivamente dolore di natura non cardiaca o paziente da avviare si alla coronarografia, questa volta con la certezza di trattare lesioni coronariche da "angioplasticare".
Ma c'è un ulteriore aspetto, talmente vantaggioso da passare in primo piano: la super TAC di ultima generazione, in virtù delle modalità e tempi di acquisizione delle immagini estremamente brevi, emette una dose di raziazioni molto contenuta, più bassa di qualsiasi TAC fino ad oggi impiegata, di poco superiore a una semplice radiografia del torace.
Ovviamente la macchina è talmente sofisticata da risultare utile non solo per una prima diagnosi, sia essa di conferma o esclusione di malattia coronarica, ma anche per il controllo periodico di by-pass aortocoronarici o di procedure di angioplastica con stent applicati alle coronarie.
Esistono rischi? Beh, in verità sono molto contenuti, in pratica legati alla somministrazione di mezzo di contrasto. Il contrasto, peraltro  somministrato in quantità molto ridotta rispetto ad un tempo, viene tollerato molto bene dalla maggior parte dei pazienti; vi può essere una reazione allergica, non prevedibile, che si può controllare con mezzi farmacologici. Infine, ogniqualvolta si parla di TAC e di radiazioni, salta fuori l'argomento radiazioni-tumori, ma con questa tipologia di macchine, la radiazione media assorbita per un esame non è superiore a quella che chiunque di noi assorbirebbe durante  un volo intercontinentale.
In conclusione, la metodica è sicura perchè espone il paziente ad un carico di radiazioni molto basso, estremamente accurata, di rapida esecuzione e di potenziale impiego molto ampio, essendo eseguibile anche in pazienti fino ad oggi non candidabili.

domenica 7 febbraio 2010

Quando il maschio è in crisi: il Deficit Erettile

Tra le diverse attività di cui è composta la mia pratica clinica, quella che mi diverte maggiormente è l'ambulatorio, per il contatto intimo col pubblico. Dopo anni di esperienza sono certo che, quando un paziente mi si avvicina con tutta la sedia, una volta uscita l'infermiera, è per pormi una domanda particolare. E quale potrebbe essere la particolarità di tale domanda, secondo voi?
Nove volte su 10 si tratta di deficit erettile. C'è poi chi mi ha posto altri salaci quesiti, ad esempio come sbarazzarsi di qualche familiare avvelenandolo; come capire se una donna può trasmettere malattie veneree (non ho sfere di cristallo in ambulatorio); come avere una prescrizione di anabolizzanti attraverso il sistema sanitario nazionale....
Tratteremo tale aneddotica in futuro, magari in un articolino dedicato.
Il deficit erettile affligge, vi assicuro, molti più pazienti di quanto non si pensi. Nelle cose bisogna intendersi, per cui inizieremo dalla definizione: è la "persistente incapacità di iniziare e mantenere un rapporto sessuale". Già da tale definizione si comprende come il calo della libido non c'entri nulla. Quindi, tanto per parlar chiaro, se il desiderio è molto diminuito (non ci si pensa più, non se ne ha più voglia) non ci si può aspettare dai farmaci risultati miracolosi; sarebbe meglio andare dallo psichiatra anzichè dal farmacista, o meglio ancora, farsi un esame di coscienza per capire se tale ridotto desiderio è nei confronti della partner abituale o no.
Fatta questa doverosa precisazione, addentriamoci nell'argomento, sempre con particolare riferimento a chi ha avuto qualche problema col cuore.
Anzitutto una considerazione: l'imbarazzo con cui veniva affrontato l'argomento è andato progressivamente diminuendo nell'ultimo decennio, merito della pillola e del suo indubbio contributo allo "sdoganamento" di un qualcosa che prima non veniva nemmeno riferito al dottore.
Alla base di un deficit erettile ci possono essere diverse cause, vediamo quali, in sintesi. Inizieremo da una lista di farmaci che, quando assunti, possono contribuire ad aggravare il problema.

Cause farmacologiche
farmaci cardiovascolari

  • beta bloccanti

  • diuretici tiazidici

  • simpaticolitici centrali

  • digossina

  • ACE inibitori (raramente)
farmaci non cardiovascolari

  • benzodiazepine

  • fenotiazine

  • butirrofenoni

  • antidepressivi triciclici

  • antiandrogeni

  • ranitidina

  • indometacina
Esiste poi un lungo elenco di motivi non farmacologici, per valutare i quali è indispensabile rivolgersi a uno specialista
cause neurogene

  • diabete

  • sclerosi multipla

  • gravi ernie discali

  • traumi midollari
cause psicologiche (che non approfondiremo)
cause vascolari

  • ipertensione

  • fumo

  • dislipidemia

  • aterosclerosi distrettuale
Ora, è evidente che ognuna di tali cause possa contribuire al problema, e pertanto andrebbe trattata.
Una volta eliminata, però, il problema potrebbe benissimo persistere.
Nel caso vi rivolgiate ad uno specialista, alla fine, valutate tali cause, la prima cosa sarà la prescrizione di un farmaco quale:

  • sildenafil (Viagra)

  • tadalafil (Cialis)

  • vardenafil (Levitra)
Non sono gli unici, ma sono i più moderni e condividono tutti un analogo meccanismo d'azione. Bisogna aggiungere che questi farmaci, indicati in chi soffre di deficit erettile, vengono talora assunti da chi non ne soffre, al solo scopo di migliorare e prolungare l'erezione, con risultati a volte dignitosi, ma sempre se c'è la libido alla base (cos'è la libido? a voi la risposta...), altrimenti gli effetti saranno pressochè nulli.

Sul loro meccanismo d'azione non mi soffermerei, esula dagli scopi informativi di questo blog. Diciamo che blocca la degradazione di una sostanza naturale favorente l'erezione, quindi questa sostanza agirà in maniera più prolungata, sostenendo l'erezione per un tempo maggiore. Infatti il loro termine tecnico è "inibitori della 5-fosfodiesterasi", o meglio universalmente noti col loro acronimo inglese "PDE-5 inhibitors".

Questa sostanza naturale, che è un vasodilatatore, è presente anche nei vasi polmonari, tant'è che esiste un impiego terapeutico anche per la cura dell'ipertensione polmonare (impiego al momento limitato, ma approvato e codificato).

In genere, se si è sani e ci si attiene alla prescrizione del proprio medico di fiducia, sono farmaci sicuri, per nulla pericolosi. Gli effetti indesiderati sono strettamente legati alla dose assunta, e possono essere: cefalea con discreta frequenza, congestione nasale più raramente.
I problemi, e per di più molto grossi, potrebbero insorgere se invece non si è sani, cioè se si è costretti a prendere farmaci cardiovascolari, in particolare i nitrati, sia come pillole che come cerotti transdermici (alcuni nomi commerciali: monoket, monocinque, ismo diffutab, minitran, dermatrans, keritrina e tanti altri).
In tali casi il divieto di associazione dei due tipi di farmaci è assoluto, in quanto potrebbero verificarsi ipotensioni prolungate e fatali (è già successo molte volte agli inizi della commercializzazione di tali farmaci)
Sempre sconsigliato, inoltre, il "fai da te", non ultimo perchè tra i tre farmaci in questione esistono notevoli differenze in termini di emivita (cioè di durata dell'azione). Pertanto, se si è alla prima assunzione, è preferibile orientarsi sul farmaco a più breve emivita.

domenica 10 gennaio 2010

Gravidanza e Malattie di Cuore

Buona parte delle numerose differenze osservabili in un mammifero maschile e femminile sono state inventate dalla Natura per consentire alla femmina di portare a termine una gravidanza. Che la gravidanza sia un fenomeno naturale e non certo una malattia, è cosa nota. Meno note sono le numerose modifiche dell’apparato cardiovascolare che una gravidanza comporta, modifiche di cui quasi non ci si accorge se tutto è normale (come nella stragrande maggioranza dei casi), ma che impongono attenzioni maggiori quando chi è in gravidanza è affetto da una o più malattie cardiache, precedentemente diagnosticate. L’apparato cardiovascolare di una donna, durante la gravidanza, deve lavorare di più, in quanto è necessario fornire il sangue a tutta la placenta e al feto. Ciò comporta, come detto, numerosi cambiamenti che si instaurano progressivamente, responsabili in buona parte di alcuni sintomi tipici, quali: - Dispnea da sforzo (volgarmente la dispnea è il “fiato corto”) e ridotta tolleranza allo sforzo, dovuti al normale aumento della gittata cardiaca (la gittata è la quantità di sangue che il ventricolo sinistro espelle in un minuto, pari approssimativamente a 5 litri in un adulto, ma che aumentano, per l’appunto, in gravidanza
- Scarsa tolleranza all’ortostatismo prolungato (per chi è a digiuno di studi classici: l’ortostatismo è lo stare in piedi), dovuti alla normale riduzione delle resistenze periferiche (vasodilatazione e quindi pressione arteriosa tipicamente bassa)
- Ortopnea (volgarmente: si respira meglio seduti o in piedi, peggio supini), dovuta alla normale compressione che l’utero gravido (e quindi molto pesante) può talora creare sulla vena cava inferiore
- Riscontro (da parte del medico) di soffi prima non presenti, dovuti all’aumentata volemia, cioè all’aumento del sangue circolante in toto
- Alcune modifiche dell’elettrocardiogramma, quali tachicardia sinusale o progressiva deviazione assiale sinistra, dovuta alla spinta verso l’alto degli organi in addome ad opera dell’utero che cresce sempre più Fin qui, come detto, la norma, cioè sintomi e segni che qualunque donna, in gravidanza, pur avendo un cuore perfettamente normale, può accusare. Nei casi in cui il cuore di chi si scopre in gravidanza ha già qualcosa di noto, possono insorgere disturbi aggiuntivi a diversi livelli di gravità, da molto lievi a talmente gravi da impedire il normale decorso della gravidanza stessa, fino all’aborto (terapeutico o spontaneo). Quali sono le principali cardiopatie con le quali si potrebbero fare i conti ?

- Difetto interatriale (DIA): è una cardiopatia relativamente frequente, talora asintomatica, per cui è probabile che tanto la gravidanza quanto un DIA vengano scoperti occasionalmente; in genere non è il caso peggiore che possa accadere, esistono innumerevoli casi di donne con DIA e gravidanze a termine
- Stenosi polmonare: in genere, se la stenosi è lieve o finanche moderata, una gravidanza è affrontabile; altra storia se la stenosi dovesse essere severa
- Coartazione aortica: è una grave malattia dell’aorta, rara nell’età adulta; si impongono attente consultazioni tra le equipe cardiologica e ginecologica
- Tetralogia di Fallot: come sopra; si tratta di cardiopatie congenite complesse che raramente portano all’età adulta; anche chi è affetto da T. di Fallot può avere gradi diversi di compromissione, in genere è però cardiopatia grave, non di rado una gravidanza potrebbe essere fatale; discorso a parte per chi è stato operato, ma anche in quel caso è fondamentale accurata consultazione cardiologico-ginecologica, prima che inizi la gravidanza
- Stenosi mitralica: è una valvulopatia oggi di rarissimo riscontro in una giovane donna, da noi. Diverso il caso di soggetti extra-comunità europea. Una stenosi mitralica serrata, aggravata da una gravidanza, potrebbe comportare problemi molto grossi
- Prolasso valvolare mitralico: le pazienti portatrici di prolasso mitralico in genere portano a termine senza particolari problemi una gravidanza. Attenzioni cardiologiche in più sono richieste se il prolasso è con insufficienza valvolare importante
- Stenosi aortica: una stenosi valvolare aortica in genere non si riscontra in un soggetto giovane, essendo tipica dell’anziano. Potrebbe essere il caso di una stenosi non valvolare, come nella cardimiopatia ipertrofica
- Cardiomiopatia ipertrofica: se asintomatica prima della gravidanza, in genere consente una progressione pressoché normale di una gravidanza stessa
- Angina e coronaropatie: come sopra, si tratta di patologie che di solito non interessano la giovane donna; casi singoli (talora dovuti a consumo di cocaina) necessitano di accurate valutazioni specialistiche

Esistono poi condizioni che potrebbero essere drasticamente peggiorate da una gravidanza, nel senso di una concreta probabilità di mortalità materna; le principali sono:
- Gravi quadri di ipertensione polmonare
- Sindrome di Marfan e conseguente interessamento aortico (marcata dilatazione)
- Stenosi aortica severa (ma anche una stenosi mitralica serrata, come detto prima, tanto bella non è)
- Cardiopatie congenite cianotiche e importanti disfunzioni ventricolari sinistre

Affrontiamo ora l’argomento “valvola artificiale meccanica” e gravidanza. Sebbene per una giovane donna, portatrice di valvola cardiaca artificiale meccanica, una gravidanza non sia proprio un tabù, è bene precisare che il rischio di complicanze è considerevole; come minimo vi è la necessità di accurati controlli ostetrico-cardiologici continui. Poiché i farmaci anticoagulanti (dei quali non si può fare a meno in caso di protesi valvolare meccanica) passano la placenta, essi creerebbero gravi danni al feto. Si sopperisce allora con l’eparina, che non passa il filtro placentare e che pertanto è sicura per il nascituro; purtroppo non è altrettanto sicura per la valvola, specie per quelle in posizione mitralica; rischiare una trombosi acuta di una valvola può mettere seriamente a rischio la vita della paziente. Pertanto, si deve necessariamente cercare un compromesso. Il primo trimestre è il più critico per chi deve nascere, pertanto si potrebbe ipotizzare (ma è indispensabile un accurato consulto cardiologico-ostetrico) di riprendere l’anticoagulante dopo la 12ma settimana e di andare avanti con frequenti controlli fino a giudizio medico, tenendo presente la possibilità di ritornare all’eparina in prossimità del parto, per evitare le complicanze emorragiche. In conclusione, l’argomento è molto delicato, e generalizzare è sempre poco utile in questi casi. Più complesso è il problema cardiologico di base, più esperte dovrebbero essere le equipe ginecologico-cardiologiche chiamate in causa per poter gestire al meglio tali peculiari condizioni.